di Luigi Asero
Il nuovo attentato avvenuto ieri mattina a Istanbul ha ri-destato l’orrore negli europei che a ogni attacco percepiscono una sempre minore sicurezza. Il nemico è invisibile e colpisce ovunque, malgrado il lavoro dei vari servizi di intelligence volto a prevenire i malefici effetti del terrore di marca jihadista. I morti di Istanbul sono una decina, quindici i feriti. Tutte le vittime erano turisti stranieri, otto fra queste vittime erano tedeschi. A colpire un giovane saudita (non siriano come si era inizialmente ipotizzato), Nabil Fadli già legato in passato all’Isis. In Turchia era entrato recentemente passando per il territorio siriano, ma non era stato mai inserito nella lista dei potenziali sospetti.
Il kamikaze si è fatto esplodere al passaggio di un bus turistico di tedeschi. Fin qui la cronaca che avrete già letto dettagliatamente in altre testate.
I fatti però vanno analizzati e non può sfuggire che anche questa volta sono colpiti turisti tedeschi, il kamikaze pare infatti abbia atteso il passaggio di questo pullman seppur la stessa piazza dell’attentato fosse già gremita, come sempre, di turisti. Quindi l’attentatore ha cercato non soltanto di colpire i turisti ma di colpire specificamente una precisa nazionalità. In Germania la Polizei avrebbe più volte sventato attentati e forse per questo motivo l’Isis avrebbe deciso di colpire “fuori” dal territorio germanico. Solo ipotesi, ovviamente, ma tutto va tenuto in debito conto in questo momento drammatico della vita nel nostro pianeta. Pianeta, sì. Perché il conflitto è planetario. Una guerra mondiale a pezzi asimmetrica che unisce alle normali tecniche barbare di guerra, nuovi metodi per incutere il terrore e abbassare la sensazione di sicurezza dei popoli. Così si leggono le stragi alla scuola di formazione di polizia in Libia, gli attentati di Parigi o gli stupri di massa in Germania della notte di Capodanno (caso che ancora non si riesce a spiegare se non in minima parte).
La reazione di Angela Merkel è dura, ma dubitiamo risoluta “dobbiamo agire in fretta contro il terrorismo”, alle sue parole fanno eco vari altri esponenti europei. Non si intravede però un piano preciso, una guerra condotta a due velocità insomma. Da un lato i pazzi del sedicente Stato Islamico pronti al “martirio” e lanciati contro l’Occidente con ogni mezzo possibile (esattamente come da più imam “radicali” predicato in passato). Schegge impazzite di un sistema ormai deflagrato e capace di colpire quasi ovunque. Dall’altra parte un insieme di politici e burocrati che finora hanno visto la guerra soltanto in televisione o giocando a Risiko e che oggi si chiedono se questa sia guerra e cosa si fa se il nemico non è ben definito. In mezzo popoli e genti che rischiano di morire o di perdere secoli di lotte per la democrazia e la libertà.
Poi l’Italia, ancora incapace anche di comprendere che trattasi di guerra asimmetrica e immemore che il nuovo fronte “caldo” è in Libia, giusto a due passi dalla Sicilia. Giusto a due passi dall’Italia nell’anno del Giubileo.